Pier Gildo Bianchi
RICORDI DI UN ANATOMO-PATOLOGO
Ricordi, esperienze, avventure di un "medico dei
morti"
nell'Italia dell'immediato dopoguerra
(Seconda
edizione riveduta e ampliata, pp. 135; 9,50 euro)
La fortuna che ha spesso arriso ai libri di narrativa scritti da medici
è legata soprattutto a quello che di "romanzesco" è in essi
contenuti. La casistica da cui sgorgano gli spunti più incisivi, una volta
trasformata in racconto affascina per i suoi aspetti umani, per l'imprevisto
che talora si annida tra le righe o per la rivelazione di segreti tecnici
sconosciuti ai profani.
È
il caso di questo libro in cui il Prof. Pier Gildo Bianchi ha messo su carta il
frutto delle sue esperienze come anatomo-patologo, il "medico dei
morti", il medico che - come diceva Augusto Murri - compare all'ultimo
atto della tragedia, dopo che nelle scene precedenti si è già ordito e si è
svolto il dramma che condotto all'epilogo.
I casi raccontati dal Prof. Bianchi sono sempre toccanti e avvincenti ed ognuno di essi è un piccolo romanzo ricco di colpi di scena e rivelazioni, come il caso del cadavere di un extracomunitario trovato in una roggia milanese ma che si scoprì, dopo l'esame autoptico, essere stato ucciso al largo della Tunisia; oppure ciò che l'autopsia al cervello di Mussolini (che il Prof. Bianchi eseguì nell'immediato dopoguerra su incarico degli americani) rivelò; e poi il caso della morte improvvisa di un paziente che fino all'ultimo istante si pensava dovuto a cause naturali e molti altri ancora...
Il professor Pier Gildo Bianchi,
scrittore brillante ma preciso, oltre ai numerosissimi saggi di divulgazioni
scientifica, ha già dedicato molte opere alla narrativa (Lo stetoscopio
incantato; I segreti di un camice bianco; Uomini ai raggi X; Terra d'ombra; La
decima lettera; Avventura d'ospedale; Medicina primo amore").
Primario
ospedalieri emerito, prima di dedicarsi alla medicina clinica, ha iniziato la
sua carriera come anatomo-patologo. In queste pagine ha raccolto alcuni
suggestivi ricordi del suo immediato dopo laurea, che ha coinciso con gli anni
dell'immediato dopo-guerra, confermando il suo ruolo di "Cronin
italiano", secondo una definizione del "Corriere della Sera".
Numerosi sono gli articoli e le recensioni che questo libro
ha ottenuto, tanto su carta, quanto su web. Ne riportiamo soltanto una, che
potete leggere integralmente qui:
http://www.nonsoloparole.com/paroledicarta/anatomopatologo.htm
Recensione a cura di Giovanni Messina
«Chi, come il sottoscritto, convive con un’ipocondria cronica troverà
“salutare” la lettura di queste memorie per la leggerezza con cui trattano di
argomenti di solito tenuti a distanza di sicurezza. Il tavolo anatomico è il
protagonista dei venti racconti che compongono il libro, e che finiscono per
avere la continuità del romanzo. Sulla fredda superficie di marmo, tra
coltelli, segatura e altri attrezzi del mestiere, sfilano morti “morti” (cioè i
cadaveri di persone sconosciute e che rimangono “soltanto inerti oggetti di
ricerca e di studio”) e morti “vivi” (quelli che prima di essere corpi come gli
altri, sono state “persone conosciute da voi quando erano ancora di questo
mondo, che avete udito parlare, che avete visto gestire e mutare espressione
del volto”).
Il testo fa venire in mente i versi di Gottlieb Benn, ma qui l’estetismo nero
del poeta espressionista tedesco lascia il posto al tono distaccato e neutro
del medico: “I segni esterni della permanenza del cadavere in acqua non
mancavano: la pelle si presentava macerata e raggrinzita, con chiazze bluastre
qua e là; c’era anche la presenza di vescicole minute e iridescenti, piene
d’aria, alla bocca e alle narici (il cosiddetto fungo schiumoso tipico degli
annegati)… Soprattutto i polmoni espansi, pallidi e soffici, di consistenza
cotonosa, crepitanti come neve fresca alla pressione e al taglio, dai quali
fuoriusciva notevole quantità di liquido roseo frammisto a schiuma…”
Autore di numerose opere a carattere scientifico e apprezzato studioso, Pier
Gildo Bianchi rievoca in questo libro gli anni trascorsi all’istituto di
anatomo-patologia di Milano, prima di dedicarsi alla carriera accademica. Siamo
nell’immediato dopoguerra, e i ricordi abbracciano un quinquennio circa. Del
tenore più vario i fatti narrati. Dal cervello di Mussolini, analizzato,
riposto nell’armadio e finito poi nella spazzatura durante un trasloco, a un
istruttore della Gioventù Italiana del Littorio, conosciuto dall’autore come
fascista e ritrovato in sala anatomica da partigiano. Ci sono piccoli “gialli”
che qui trovano soluzione (Un delitto quasi perfetto) ed episodi in cui la
comicità prevale a dispetto del contesto (Come l’uovo del Re Sole).
Esilarante il racconto della burla giocata a “uno strano tipo di chirurgo,
pieno di prosopopea e d’ignoranza, il quale a forza di appoggi politici” (si
nota ancora un certo stupore, ma siamo nei primi anni Cinquanta) “riuscì
persino a carpire un primariato di provincia”. Di fronte alla platea messa al
corrente dello scherzo, il vanaglorioso chirurgo pontifica di “tessuto adiposo,
struttura adenomatosa da ghiandola alveolare ramificata, costruita da alveoli
rotondeggianti, ripieni di cellule epiteliali, cariche di gocciole di grasso…”
e via discorrendo, per quello che alla fine risulta essere “un culo di gallina…
un boccone del prete”.
Bello, pure, nella sua brevità, per l’impercettibile sovrapporsi del grottesco
al dramma, il racconto della giovane finita sul tavolo autoptico per la
leggerezza del medico che le asporta il rene senza accorgersi che per anomalia
congenita la ragazza ne aveva uno solo. “Ci voleva tanto a guardare dall’altra
parte, prima di togliere il rene?”
Si legge il libro, e si ha la sensazione di ascoltare il racconto del vecchio
professore. Lo stile asciutto e piacevolmente démodé lascia affiorare, nitido,
lo spaccato di un mondo ignoto ai più; i personaggi appena accennati, eppure
sembra di averli davanti. E rimane alla fine il sospetto che di cose
interessanti da raccontare il tipo ne avesse molte di più, e col sospetto il
rammarico, proprio dei bei libri, per l’essere stato troppo succinto.»
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